La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) può essere definita un’entità clinica biopsicosociale che ha un impatto rilevante sul singolo paziente e sulla collettività. I dati epidemiologici la pongono tra le condizioni patologiche ad elevata prevalenza e gli studi che hanno analizzato la ricaduta della sindrome sulla vita quotidiana dei pazienti ne evidenziano una forte connotazione invalidante. La stretta correlazione tra aspetti clinici e psicosociali si estrinseca in un bisogno del paziente di trovare una risposta ad una condizione clinica che spesso stravolge la sua vita giornaliera. Le aspettative del paziente riguardano quindi una terapia efficace, in grado di attenuare soprattutto il sintomo dolore e di regolarizzare l’attività intestinale, ma anche una relazione empatica con il medico che contempli le rassicurazioni riguardo il suo stato di salute. E’ insomma necessario prestare molta più attenzione al paziente ed al modo in cui egli vive la sua condizione patologica. Ancora oggi, tuttavia, si registra spesso un atteggiamento superficiale di sottovalutazione su quanto questa condizione clinica possa risultare angosciante per il paziente, essendo portati a considerare la disfunzione più di natura psicologica che organica e, pertanto, non particolarmente meritevole della giusta attenzione.
L’IBS, ancora oggi chiamata spesso ma in maniera non corretta “colite spastica”, è definita come un gruppo di disturbi funzionali caratterizzati da dolore o fastidio addominale che si manifestano in relazione a modificazioni dell’alvo, con segni di alterata defecazione e distensione addominale.
In Europa la prevalenza dell’IBS è dell’11,5% con una larga maggioranza del sesso femminile (63%). I dati epidemiologici riportano una prevalenza di IBS negli uomini di circa il 30%, dato probabilmente condizionato da una scarsa consapevolezza di questo genere di problematiche da parte dei maschi. La fascia d’età più colpita è quella compresa tra i 18 ed i 34 anni, seguita da quella compresa tra 35 e 54 anni, cioè le fasi della vita in cui sono massime le capacità produttive e la vitalità di una persona.
In base alla predominanza della sintomatologia riferita dal paziente, l’IBS viene tipicamente classificata in IBS con stipsi (IBS-C), IBS con diarrea (IBS-D) e IBS con alternanza di stipsi e diarrea (IBS-A). La prevalenza di queste tre forme cliniche è distribuita in maniera molto omogenea nella popolazione, con ciascun sottotipo che rappresenta circa un terzo dei casi complessivi di IBS.
L’andamento dell’IBS è cronico con carattere fluttuante ed i pazienti riferiscono una storia di lunga durata dei sintomi, con fasi di remissione e di riacutizzazioni che sono spesso favorite da eventi stressanti, sia di tipo fisico (interventi chirurgici, infezioni virali o batteriche), che di tipo psichico (stress, problemi familiari, eventi luttuosi).
Le cause dell’IBS sono molteplici e, nello stesso individuo, non è riconoscibile un singolo fattore scatenante. Da un lato possono esserci fattori psicosociali, come la reazione nei confronti delle malattie, aspetti cognitivi ed emotivi; dall’altro fattori biologici, come la predisposizione e la suscettibilità individuale, alterazioni della motilità dell’apparato digerente, la sensibilità dei visceri, la percezione soggettiva del dolore, la flora batterica ed infezioni intestinali. A complicare il tutto possono intervenire anche intolleranze ed allergie alimentari, l’utilizzo cronico di farmaci come antinfiammatori ed antibiotici e lo stress, che possono avere un ruolo nel determinare e perpetuare la sintomatologia. Inoltre, l’IBS si presenta spesso in associazione con altri disordini motori del tratto digestivo, come la dispepsia funzionale e la malattia da reflusso gastroesofageo, così come con altre patologie, inclusa la malattia celiaca.
Quello che spesso sfugge alla consapevolezza del medico è la gravità dei sintomi in alcuni pazienti affetti da IBS, specialmente del dolore addominale nella forma a prevalenza di stipsi (IBS-C), per cui è fondamentale che il medico riesca sempre a valutare correttamente questa patologia considerando l’esperienza di malattia vissuta dal paziente. Nell’IBS-C il dolore addominale, insieme con il gonfiore e la distensione, possono variare per frequenza ed intensità determinando, talora, un fastidio così rilevante da influenzare in maniera estremamente negativa la qualità di vita dei pazienti. Il dolore addominale cronico è una componente essenziale ai fini della diagnosi di IBS-C, viene riferito da una percentuale estremamente elevata di pazienti (fino all’88% dei casi) ed è indicato come il sintomo più importante verso il quale si cerca un trattamento il più efficace possibile. Nel determinismo del dolore viscerale, nei pazienti con IBS con stipsi, un ruolo fondamentale è svolto dall’alterazione delle funzioni sensomotorie intestinali, con conseguente ipersensibilità ai vari stimoli che giungono alla parete intestinale che funge così da organo bersaglio. Ciò è stato dimostrato dall’esecuzione di test per la valutazione della sensibilità viscerale al dolore indotto dalla distensione prodotta nel retto-sigma mediante una sonda a palloncino.
I sintomi più frequentemente riferiti sono dolore addominale, gonfiore, meteorismo, borborigmi, diarrea, stipsi e senso di costrizione addominale. Ma chi soffre di IBS spesso può presentare anche altri sintomi come pirosi retrosternale, nausea, vomito, emicrania, ansia, depressione, tachicardia, fibromialgia, astenia, dolore pelvico cronico, aumento della frequenza della minzione e disfunzioni della sfera sessuale.
Il dolore, che a volte può manifestarsi piuttosto come un fastidio, è localizzato diffusamente ai quadranti addominali e spesso il pasto ne rappresenta l’evento scatenante, mentre tende ad essere alleviato o a recedere con la defecazione o con l’emissione di gas. La tensione e la distensione addominale vengono considerati come gli aspetti sintomatici che causano maggiore stress anche perché tendono a peggiorare nel corso della giornata, specialmente dopo i pasti.
La stipsi, caratterizzata dalla presenza di feci dure o caprine in più del 25% e di feci non formate in meno del 25% delle evacuazioni, è poi uno degli elementi cardine indicati come responsabili del peggioramento della qualità della vita e può provocare lo sviluppo di emorroidi, ragadi anali e prolasso anorettale a causa dello sforzo eccessivo durante il ponzamento.
In un sondaggio su un campione di oltre 41.000 soggetti di otto nazioni europee, che includeva diagnosi di IBS e soggetti senza diagnosi pregressa ma con sintomatologia suggestiva di IBS, è stato riscontrato che il 40% dei pazienti lamentava sintomi fino a 3 giorni al mese, il 29% fino a 9 giorni al mese, il 17% fino a 20 giorni al mese, l’8% oltre 21 giorni al mese mentre un 6% non riusciva più a quantificare i giorni di sofferenza. Il numero medio di attacchi, durante il giorno in cui erano presenti sintomi, è stato stimato in almeno due, ciascuno della durata di oltre un’ora. Nello stesso studio è emerso che la malattia aveva una durata di oltre 10 anni nel 40% dei pazienti, di 2-10 anni nel 43%, di 1-2 anni nel 7% e di meno di un anno nel 10%.
Comunque, la sintomatologia avvertita dai pazienti è spesso molto significativa e talora anche grave. I sintomi, talvolta, non si limitano all’interessamento della sola sfera gastrointestinale, ma possono coinvolgere altri organi ed apparati, da quello genito-urinario a quello muscolo-scheletrico. Ciò comporta il non infrequente invio inappropriato del paziente ad altri specialisti come il ginecologo, l’urologo ed addirittura l’ortopedico, con pessimi risultati clinici, ricorso a metodiche diagnostiche non necessarie ed a terapie inutili, con aggravamento notevole dei costi sanitari. E’ stato evidenziato che la prima figura sanitaria consultata è comunque il medico di medicina generale in circa il 90% dei casi, ma un 17% di pazienti si reca direttamente in ospedale per l’imponenza della sintomatologia, il che comporta un ulteriore aggravio tanto di costo quanto di disagio per il paziente. L’IBS è senza dubbio la più frequente causa di ricorso al medico per patologia gastroenterologica.
La diagnosi di IBS è essenzialmente clinica cioè basata sull’anamnesi (presenza dei sintomi da molti anni e loro accentuazione in corrispondenza di stress emotivi o fisici) e sulla normalità della visita medica e di eventuali esami di laboratorio praticati. Se i sintomi si presentano, per la prima volta, dopo i 40 anni, o quando questi variano improvvisamente, è allora indicato sottoporre il paziente ad indagini diagnostiche al fine di escludere l’esistenza di patologia organica del colon (colonscopia, clisma opaco a doppio contrasto).
La terapia è mirata essenzialmente a combattere i sintomi prevalenti. Pertanto, per il dolore addominale vengono usati antispastici tipo anticolinergici, come propantelina bromuro (Lexil), prifinio bromuro (Riabal) e cimetropio bromuro (Alginor), e miolitici come trimebutina (Debridat), pinaverio bromuro (Dicetel), ottilonio bromuro (Spasmomen) e fluoroglucina (Spasmex), che esplicano la loro azione riducendo lo spasmo intestinale. L’olio di menta in capsule, oltre all’effetto antispastico, è in grado anche di ridurre la sensazione di gonfiore addominale. Per la stipsi possono essere utilizzati procinetici come la levosulpiride (Levobren), che determina un aumento della motilità peristaltica intestinale e quindi facilita la progressione delle feci, fibre contenute nei lassativi di massa (metilcellulosa, agar, crusca, derivati dello psillio) e lassativi osmotici (lattulosio e lattitolo). Per la diarrea, invece, si possono somministrare la loperamide, che agisce riducendo la peristalsi dell’intestino, e farmaci adsorbenti (carbone attivo, caolino, diosmectite) che, adsorbendo i liquidi, aumentano la consistenza delle feci. Inoltre, al fine di ridurre la componente psicosomatica, possono essere utili la stessa levosulpiride, gli ansiolitici (benzodiazepine tipo bromazepam, lorazepam) ed eventualmente anche gli antidepressivi (amitriptilina).
Oltre alla terapia farmacologica diventa però fondamentale per il paziente adottare un corretto regime dietetico. Quando il sintomo prevalente è la stipsi, è necessario aumentare le fibre ingerite con la dieta (almeno 400 g al giorno di verdure o frutta), bere almeno 1,5 litri di acqua al giorno, aumentare l’attività fisica e cercare anche di regolarizzare l’evacuazione recandosi alla toilette appena si presenta lo stimolo senza ritardarla. Quando il sintomo prevalente è il dolore è utile ridurre l’ingestione di sostanze fermentanti tipo legumi, cavoli, cipolle, broccoli, spinaci, prugne, mele, ciliegie, banane, latte, panna, gelati, cibi molto grassi e fritti. Il paziente dovrebbe comunque imparare a riconoscere gli alimenti che scatenano o aggravano i sintomi in modo da evitarli o da ridurne decisamente l’introito.